A proposito “Del piacere di leggere”
I consigli di Marcel Proust ai Millennial del Ventunesimo Secolo.
di Andrea Giostra

Il saggio “Del piacere di leggere” di Marcel Proust apparve per la prima volta in Francia il 15 giugno 1905 sulla prestigiosa rivista parigina La Renaissance Latine. Un anno dopo Proust lo utilizzò come prefazione alla sua traduzione di Sesamo e i gigli di John Ruskin, del quale fu un superbo lettore, uno straordinario conoscitore, ed infine, un tenace e consapevole contestatore.
Leggendo questo piccolo saggio - anzi, rileggendolo dopo moltissimi anni. La prima volta lo lessi alla fine degli anni Novanta quando fu pubblicato da Passigli editore - le scene che quasi oniricamente mi appaiono accompagnando la lettura, sono quelle di un adolescente di fine Ottocento posseduto dalla brama di sapere e di conoscenza che cercava di soddisfare e contenere attraverso una lettura frenetica, vorace e ossessiva, sottoposta a rigidissimi vincoli familiari per evitare che quel ragazzo venisse sopraffatto dalle lettura trascurando la vita e le esperienze reali che veniva “costretto” a sperimentare dai suoi severissimi genitori.
Le scene che ho immaginato, traslando il contesto temporale di poco più di 130 anni, per associare quell’adolescente (appiccicato alla lettura dei libri) ai nostri ragazzi Millennial (appiccicati alla lettura dei post dei loro smartphone) può apparire dissacratoria e bizzarra. Sicuramente la maggior parte dei nostri più noti e affermati esperti - critici letterari, insegnati, intellettuali e psicologi dell’età evolutiva - valuteranno questo mio “parallelismo” inopportuno (se vogliamo essere buoni nell’aggettivo che immaginiamo utilizzerebbero dopo aver letto queste poche righe) perché leggere libri non ha nulla a che vedere (nell’immaginario collettivo dei nostri contemporanei adulti) con il “frenetico processo acritico di assorbimento passivo di immagini e notizie” che – sostengono loro, “gli esperti” - vengono subdolamente iniettate nella mente dei nostri Millennial attraverso gli smartphone, i tablet e i pc.
«La mattina, al rientro dal parco, quando tutti erano fuori “a fare una passeggiata”, io scivolavo nella sala da pranzo dove, fino all’ora ancora lontana del pranzo, non sarebbe entrato nessuno […] e dove avrei avuto per compagni rispettosi della lettura, solo i piatti decorati appesi al muro […]» (p.8). «Ero da poco a leggere nella mia camera che già bisognava andare al parco, a un chilometro dal paese. Ma dopo il gioco obbligatorio, cercavo di affrettare la fine della merenda portata nei cesti e distribuita ai ragazzi in riva al fiume, sull’erba, dove il libro era stato posato con la proibizione di prenderlo […] Lasciavo gli altri che ancora facevano merenda giù nel parco, vicino ai cigni e correvo al labirinto e, introvabile, mi sedevo sotto la pergola, appoggiato ai noccioli potati […] dove il silenzio era profondo, il rischio di essere scoperti quasi inesistente, la sicurezza resa più dolce dai richiami lontani di chi mi cercava inutilmente e qualche volta si avvicinava anche, saliva per un tratto il pendio cercando da per tutto e poi se ne tornava indietro senza avermi trovato» (pp.20-21-22). 
Così ci narra Marcel Proust del suo amore per i libri, della sua passione per la conoscenza, della sua “dipendenza” adolescenziale dalla lettura che la famiglia cercava di limitare costringendolo, con la rigida disciplina e la severa educazione, al predominio della vita reale più che della vita letteraria (virtuale?). 
La prima parte di “Sur la lecture” Proust la dedicata al racconto lucido ed emozionante di questa sua passione adolescenziale. La seconda parte alle riflessioni di adulto maturo e di importante scrittore e intellettuale francese sul senso della lettura, dell’esperienza, del sapere altrui vissuti attraverso i libri.
«Forse non ci sono giorni della nostra adolescenza vissuti con altrettanta pienezza di quelli che abbiamo creduto di trascorrere senza averli vissuti, quelli passati in compagnia del libro prediletto […] un ricordo talmente dolce […] che ancora oggi, se ci capitano tra le mani i libri di un tempo, li sfogliamo come fossero gli unici calendari conservati dei giorni passati e ci aspettiamo di vedere, riflessi sulle loro pagine, le case e gli stagni che non esistono più.» (pp. 7-8) «Quando la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto fra le pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito». (pp. 39-40). «Esistono degli spiriti paragonabili a quei malati cui una sorta di pigrizia o di frivolezza impedisce di scendere spontaneamente nelle regioni profonde di sé stessi, là dove comincia la vera vita dello spirito. Una volta accompagnati fin lì, sono poi sicuramente capaci di scoprirvi e mettere a frutto ricchezze reali, ma senza quell’intervento esterno vivono in superficie, in un perpetuo oblio di sé, in una sorta di passività che li lascia in balia dei piaceri, li abbassa a livello di quelli che turbinano loro intorno e […] finiscono per allontanare da sé qualunque sentimento e ricordo della proprio nobiltà, se non interviene dall’esterno uno stimolo che li reintroduca quasi a forza nella vista dello spirito dove poi subito ritrovano la facoltà di pensare da soli e di creare […] questo processo è proprio della lettura […] quando la lettura è per noi l'iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare.» (pp. 37-39).
Che cosa significano oggi queste parole di Proust se contestualizzate ai giorni nostri, agli adolescenti che noi adulti nati nel Novecento guardiamo disprezzanti “vittime ignare” - sostengono sempre i nostri “esperti” - di una sorta di sub-cultura social – se non di assenza di cultura! – quando li vediamo immergersi con una frenetica coazione a ripetere “nella lettura di post in veloce successione filmica che tendono a prendere il posto della loro vita reale”? 
Quale deve essere il confine tra lo sperimentare una vita altrui “vissuta” attraverso la mediazione (dei libri, dei film, dei social, e se vogliamo attraverso l’empatia e l’immedesimazione quale strumento umano di comprensione dell’intimidita e delle emozioni del nostro prossimo) e l’esperienza “vissuta” nella quotidianità che rappresenta il nostro più importante maestro di vita, che ci insegna e ci forgia quali donne e uomini dei nostri tempi?
Queste sono le domande che secondo noi bisognerebbe porsi e alle quali qui non abbiamo risposte!
Sono le domane che oggi più che mai – gli “esperti” di prima e tutti gli educatori che a vario titolo vestono ruoli cruciali e diversi lavorando con i ragazzi e con i Millennial (cosiddetti) – dovrebbero porsi per agire nella loro professione nel rispetto delle nuove generazioni e per favorire il piacere alla lettura che anche loro – i vittimizzati ob torto collo adolescenti di oggi visti dagli adulti – certamente hanno come l’abbiamo avuta noi nel secolo scorso.
Da Marcel Proust “Del piacere di leggere”, Passigli Ed., 1998, Firenze-Antella


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