SULL’IMMAGINARIO...
Intervista al fotografo Roberto Kusterle
di Alberto Princis

Cos’è per te l’immaginario? una funzione dell’anima, o un gioco che può divenire una prigione? James Hillman, psicologo, riteneva che fosse più importante lavorare sulle immagini come anche sul sogno, e seguirli, senza interpretarli.
A volte è un’attitudine o un esercizio, quindi un lavoro, ma se le idee a volte possono giungere da sole, altre si deve anche farle venire: è una questione di energia interiore. L’immagine visiva e quella mentale sono mondi lontani, e nell’opera d’arte si uniscono. In realtà l’immaginario è alimentato anche dall’osservazione della vita quotidiana.  
E se l’arte è un modo di trasformare la realtà… è anche una condanna, sì, forse una prigione, ma con porte e finestre aperte. Equivale dunque a una sorta di reinvenzione del mondo, anche nelle forme della protesta, e talora con ironia. L’ambiguità è poi fondamentale, nel gesto artistico, perché può essere al contempo sia una forma di comunicazione che di interpretazione.

L’ossessione, nelle arti ma anche nella scienza, è spesso lo straordinario (nonché rischioso) strumento per giungere a una scoperta. Tu cosa credi di aver scoperto?
Innanzitutto che la finzione può essere più vera della realtà. Tuttavia l’ossessione prevede una grande concentrazione, e talora si rivela anche come un tormento. La creazione deriva da un acrobatico e continuo trasgredire. Eppure c’è sempre un faro e una lanterna che guida, benché non statica e sempre in movimento: e quel faro non tanto è il punto di arrivo, ma la traccia luminosa della via da seguire.  

Nei decenni del tuo lavoro fotografico hai sperimentato due modalità tecniche e operative. All’inizio con il metodo analogico in camera oscura foto allegate n. 1,2,3) e poi più recentemente con il digitale (foto n. 4,5,6).
Ecco, nella fotografia analogica la creazione si nutriva di un elemento fisico e corporeo importante, ed esigeva scelte, opzioni, passaggi… ma l’artista apprezzava persino il fascino e il profumo degli acidi. Nella scelta del lavoro con il digitale contemporaneo invece mi hanno attratto le maggiori possibilità, anche di correzione, e le nuove invenzioni formali, sostanzialmente più semplici. Debbo però dire che non ho compiuto un taglio netto tra l’analogico e il digitale, e che tra il 2009 e il 2012 c’è stata una fase di ibridazione tecnica, ad esempio attraverso l’uso del banco ottico (vedi foto n. 7,8).
In ogni caso l’artista autentico non segue tendenze o mode, ma lavora in modo indipendente e in solitudine: può essere una sfida, ma priva di vanità e compiacimento, o addirittura un incubo che comunque lo tiene in vita: l’arte è libertà, ricerca, fedeltà e disubbidienza, nonché onesta dedizione istintuale al lavoro. E il destinatario? Incerto, lontano…
Nel mio ultimo e recente ciclo in digitale (foto 5 e 6) ad esempio ho scelto di realizzare immagini che appaiono come una traccia a matita su vecchie carte, con figure umane prive di volume… come dire quasi “un’uscita dalla fotografia”, o un ritorno alla dimensione del disegno.

Per concludere, oltre a proporre ai lettori una sintesi del significato che tu attribuisci alla tua opera, potresti affermare che c’è qualcosa di sacro in tutte le arti?
Sì, il sacro è una percezione istintuale, e andrebbe sempre alimentato e custodito. Anche nel mio lavoro c’è questa modalità di sentire la vita, e ho cercato di annullare le distanze tra essere e mondo, tra uomo e natura (sia essa animale, vegetale o inerte): questa ri-conciliazione ha come base il rispetto della Terra, della Vita e del cosmo misterioso in cui viviamo. L’opera artistica si costituisce dunque come una difesa disperata (o anche inutile, a volte) nei confronti di ogni barbarie, e di qualsiasi estremismo ideologico (sia esso politico, economico… o alimentare!). Le arti, tutte, sono sempre state sia espressione di tecniche rigorose e artigianali sia una distruzione delle regole acquisite. Se si scopre una soluzione o un risultato possibili perché non sperimentare? L’importante è non applaudirsi e non cercare l’applauso, o l’approvazione ad ogni costo. In fondo, non bisogna piacere a tutti! Se poi è vero che in questi anni ho compiuto diverse ricerche, accolto molte suggestioni e usato varie metodologie, credo di aver mantenuto, in arte come nella vita, un unico stile: e questa unicità è ciò che forse dona la maggiore soddisfazione e una grande serenità, non solo a un artista ma a qualsiasi essere umano.

Biografia, galleria fotografica, e mostre di Roberto Kusterle sono consultabili sul sito: www.robertokusterle.it

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